Nei rapporti di lavoro esistono particolari categorie di dati
che vanno considerati in modo differente
L’art. 9 del Gdpr disciplina il trattamento di categorie particolari di dati personali. Nello specifico, in tale nozione rientrano quelli personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, nonché, dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, quelli relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.
Occorre, preliminarmente, sottolineare che, in linea di principio, il Gdpr vieta il trattamento dei dati appartenenti alle categorie particolari di cui sopra. Ciononostante, presentandosi il concetto di “trattamento” quale piuttosto ampio e tale da ricomprendere ogni tipo di operazione applicata ai dati personali, il Regolamento elenca, all’art. 9 comma 2, i casi specifici in cui il trattamento si ritiene consentito. Tra questi ultimi, rilevano in particolar modo:
• il caso in cui l’interessato abbia prestato il proprio consenso esplicito al trattamento (lettera a);
• il caso in cui il trattamento sia necessario al fine di assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro, sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell’Ue o degli Stati Membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi del soggetto interessato (lettera b).
Il Provvedimento n. 146 del 2019
Con il Provvedimento n. 146 del 5 giugno 2019 l’Autorità Garante per la Privacy si è occupata di offrire una chiarificazione al Gdpr relativamente al trattamento dei dati personali nel contesto lavorativo, con specifico riguardo al trattamento di categorie particolari di dati, alle quali è necessario rivolgere attenzione e protezione maggiori.
Preme evidenziare che il provvedimento estende il proprio ambito di applicazione a «tutti coloro che, a vario titolo (titolare/responsabile del trattamento), effettuano trattamenti per finalità d’instaurazione, gestione ed estinzione del rapporto di lavoro», elencando poi i ruoli che rilevano [art. 1.1, lett. da a) a g)].
Tali regole sono applicabili al trattamento effettuato dal datore di lavoro, sia pubblico che privato: quale persona fisica o giuridica, impresa, anche sociale, ente, associazione o organismo che sia parte di un rapporto di lavoro; che utilizzi prestazioni lavorative anche atipiche, parziali o temporanee; che comunque conferisca un incarico professionale a consulenti e liberi professionisti, agenti, rappresentanti e mandatari, nonché soggetti che svolgono collaborazioni organizzate dal committente o altri lavoratori autonomi in rapporto di collaborazione, anche sotto forma di prestazioni di lavoro accessorio [figure indicate all’art. 1.2, lett. c) e d)].
Oltre al datore di lavoro, il provvedimento è, altresì, rivolto a tutti i soggetti che curino gli adempimenti in materia di lavoro, di previdenza ed assistenza sociale e fiscale nell’interesse di altri soggetti che sono parte di un rapporto di lavoro dipendente o autonomo [art. 1.1, lett. e)], nonché a avvocati e/o commercialisti che sono soggetti ai medesimi profili di garanzia e sicurezza imposti al soggetto titolare. Il Provvedimento citato si estende, altresì, a ulteriori soggetti quali, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, agenzie per il lavoro (anche di intermediazione, ricerca, selezione, ricollocazione professionale), gli enti di formazione accreditati, organismi paritetici, rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, associazioni, organizzazioni, medico competente in materia di salute e sicurezza sul lavoro.