Aumento degli occupati, sì, ma impatto negativo rispetto al trend registrato negli anni immediatamente precedenti alla riforma. In sintesi, è questo l’effetto che hanno avuto le disposizioni del Decreto Dignità secondo l’analisi eseguita dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro
L’approfondimento analizza le principali disposizioni e finalità del decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018, c.d. “decreto Dignità”, in materia di contratti di lavoro a tempo determinato. Ripercorrendo l’evoluzione normativa sul tema, soprattutto alla luce delle deroghe introdotte per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, si passano in rassegna i dati Inps e Istat sull’occupazione per poi fare un bilancio su risultati e ricadute occupazionali generati dall’introduzione del provvedimento.
Il contenuto del Decreto Dignità
Il Decreto ha introdotto rilevanti novità alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e della somministrazione di lavoro, modificando il decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015. Le modifiche riguardano in primo luogo la riduzione a 24 mesi della durata massima del contratto a tempo determinato, con riferimento ai rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti o di periodi di missione in somministrazione a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione. Il contratto a tempo determinato non può quindi avere una durata superiore a 24 mesi, comprensiva di proroghe e/o per effetto di più contratti, fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La proroga, che deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a termine è stato stipulato, è possibile – entro il suddetto limite e con il consenso del lavoratore – fino a un massimo di quattro volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi.
I risultati del Decreto Dignità alla luce dei dati Inps e Istat
Dall’analisi delle variazioni nette per tipologia di contratti dei dati Inps, nel periodo di riferimento da luglio 2018 a giugno 2019, emerge che:
- l’aumento dei contratti a tempo indeterminato (+353 mila) è dovuto anche all’effetto delle 655 mila trasformazioni di contratti a termine. Si ipotizza che in molti casi si sia trattato di un anticipo della stabilizzazione del lavoratore, in quanto l’incidenza media delle trasformazioni sui contratti a tempo indeterminato è passata dal 25% al 35% (nel periodo che va da luglio 2018 a giugno 2019) per poi scendere al 30% nel semestre successivo;
- Per effetto delle trasformazioni i contratti a termine diminuiscono di 184mila unità e diminuiscono anche i contratti in somministrazione (-10 mila);
- Aumentano i contratti in apprendistato (+77mila);
- Aumentano i precari non interessati dai vincoli del decreto Dignità: contratti stagionali (+50 mila) e contratti intermittenti (+50 mila).
Analizzando invece i dati forniti dall’Istat sull’occupazione, ed esaminando il numero di occupati in tre annualità non solari, è possibile rilevare che nei primi 12 mesi di vigenza del decreto Dignità, seppur venga confermato un aumento generale dell’occupazione di 114 mila occupati (+0.5%), tale incremento sia caratterizzato dalla diminuzione del tempo indeterminato di 53 mila unità (-0,4%) e da un ampliamento di 142 mila occupati a termine (+4,9%).
Inoltre, l’aumento dell’occupazione nel primo anno di vigenza del decreto Dignità risulta essere più che dimezzato se raffrontato con l’analogo periodo immediatamente precedente (luglio 2017 – giugno 2018), in cui si era registrato un incremento di 279 mila unità (+1,2%).
Il commento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro
Oltre a concludere che le disposizioni del Decreto Dignità hanno impattato in termini negativi rispetto al trend registrato negli anni immediatamente precedenti alla riforma, la Fondazione invita a chiedersi se “tali disposizioni rispondano alle esigenze di un mercato del lavoro che, complice la pandemia, risulta in repentina evoluzione e se possano quantomeno tutelare le categorie di lavoratori ritenuti svantaggiati e coinvolti dalle politiche occupazionali incentivanti introdotte negli ultimi anni”.
Le restrizioni introdotte dal decreto Dignità sembrano incompatibili rispetto alla situazione reale attuale, in cui, ai fini di una difficile ripresa del mercato del lavoro, sono richiesti flessibilità e abbattimento dei costi. E ancora, si legge nell’approfondimento, “è evidente che il mercato del lavoro non si possa stabilizzare attraverso la rigidità in entrata, bensì creando condizioni che rispondano ai nuovi modelli organizzativi, contraddistinti da una concezione del lavoro più flessibile e da una maggiore innovazione delle dinamiche produttive nelle imprese”.