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Home » News » LAVORO | Il punto di vista dei lavoratori sullo smart working

LAVORO | Il punto di vista dei lavoratori sullo smart working

21 Febbraio 2022 by Laura Reggiani

Inapp ha presentato i risultati del policy brief  “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”.  Nel 2021 il 32,5% degli occupati ha lavorato da remoto; il 39,7% dei lavoratori della PA e il 30,8 tra i privati.

 

smart working pixabay

Prima della pandemia 2.458.210 occupati (pari all’11%) lavoravano da remoto. Nel 2021 i lavoratori agili sono saliti a 7.262.999 (e la quota sul totale degli occupati è balzata al 32,5%). Il 46% dei lavoratori vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modo agile almeno un giorno e quasi 1 su 4 tre o più giorni a settimana. È quanto emerge dal policy brief “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”, realizzato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche pubbliche (Inapp) attraverso l’indagine Plus con un campione di oltre 45mila interviste (dai 18 ai 74 anni) nel periodo marzo-luglio 2021.

“Lo smart working, cioè quella profonda ristrutturazione dei processi produttivi alimentata dalle nuove tecnologie informatiche e digitali, contempla quote di attività lavorativa svolte al di fuori degli spazi fisici dell’azienda”, ha affermato Sebastiano Fadda, presidente Inapp.  “Non sappiamo quale sia l’atteggiamento dei lavoratori verso tutti i molteplici aspetti che costituiscono la modalità dello smart working, ma sappiamo da questa indagine quale sia l’atteggiamento dei lavoratori nei confronti del lavoro “da remoto” così come è andato configurandosi sotto la frustata della pandemia. Nel complesso la valutazione dei lavoratori è positiva, anche se si manifestano alcune criticità in relazione ad alcuni aspetti. Da ciò si desume che esiste una base per passare dal semplice lavoro da remoto emergenziale a nuovi modelli di organizzazione del lavoro, associati a innovative re-ingegnerizzazioni dei processi produttivi, ma che bisogna adoperarsi per risolvere diverse criticità”.

Il lavoro agile, seppur realizzato in contesti organizzativi non preparati e con infrastrutture tecnologiche spesso inadeguate, è stata un’esperienza positiva. Il 55% dei lavoratori esprime un giudizio positivo sull’esperienza complessiva di lavoro da remoto, ma su alcune specifiche questioni le valutazioni sembrano evidenziare criticità: quasi il 64% ritiene che il lavoro da remoto generi isolamento e circa il 60% che non aiuti nei rapporti con i colleghi; in più, per oltre il 60% risulta problematico l’aumento dei costi delle utenze domestiche. Al contrario è decisamente positiva la valutazione sulla libertà di organizzare il lavoro e gestire gli impegni familiari. Oggi la metà delle professioni qualificate può erogare oltre il 50% della prestazione da remoto a fronte di un decimo delle professioni non qualificate. Questa segmentazione è frutto della natura della prestazione e di una cultura organizzativa che deve essere aggiornata alla luce dell’esperienza del lavoro agile.

Ha detto ancora Fadda:  “Occorre un quadro di regole-base e poi flessibilità per definire attraverso la contrattazione le modalità che meglio garantiscono la produttività delle aziende e il benessere dei lavoratori”.

Qualora il lavoro agile entrasse a regime, si aprirebbero nuove prospettive sul futuro delle città e dei territori. Dallo studio emerge, infatti, che oltre 1/3 degli occupati si sposterebbe in un piccolo centro; 4 persone su 10 invece si trasferirebbero in un luogo isolato a contatto con la natura. Inoltre, pur di lavorare da remoto 1 lavoratore su 5 accetterebbe una eventuale penalizzazione nella retribuzione, segno che un ipotetico miglioramento nella qualità della vita presenta un valore aldilà di quello economico.

 

 

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